Ritorno alla Normalità? Grazie, anche no.

Purtroppo o per fortuna io vedo spesso fatti e cose da una prospettiva diversa da quella della maggioranza.

A me è piaciuto stare in reclusione.

Ebbene sì: amo stare per conto mio, pensavate scherzassi quando dicevo che vengo da un altro pianeta?


Partiamo dal giorno dell’annuncio del #lockdown: trasloco nella casa ristrutturata fatto in un weekend, cartoni ovunque, pensieri affollati, compleanno del piccolo supereroe fatto tra mille incertezze con un mucchio di amichetti scatenati, tante novità che si sovrapponevano al vecchio stile di vita.

Io sono una in cui il mondo interiore supera di gran lunga quello esteriore, ho bisogno di calma e silenzio per scrivere e pensare, per cui già normalmente il mio ambiente è casa.

Stare in casa ha i suoi benefici effetti.

Questo non vuol dire che non ami uscire o stare in mezzo agli altri: lo adoro, e per certi versi ne ho bisogno, per essere stimolata da punti di vista differenti, ma stare in casa per me è una condizione naturale.

Sicuramente ho sofferto meno di altri.

E quindi, eccomi: io sono perfettamente allineata ai miei bisogni profondi. Il che non significa non essere preoccupata della pandemia in corso.

Sono certa che anche altre persone la vivono come me e tacciono per non risultare impopolari.

In sintesi, la mia personalità si è perfettamente conformata a questa situazione di STOP 🛑.

Come l’acqua, che prende la forma del recipiente in cui si trova. Io mi adatto a tutte le situazioni e questa mi è particolarmente congeniale.

Stare accanto, in ascolto, senza correre altrove.

Mi sono mancate le mie passeggiate nel verde e i miei tragitti “musicali” in auto. La colazione al bar. Il mio tempo da adulta in ufficio. Le vetrine dei negozi da spulciare. Andare in libreria. Ma io nel mio mondo casalingo ci sto benissimo e non sono certa ci sia da vantarsene.

Questa bolla è il mio rifugio.

❗️Non si può fare nulla, per cui zero pressioni a fare.

‼️ Non ci sono eventi sociali o familiari in programma, per cui zero scuse da inventarsi per stare tranquilli a casa.

⁉️ La mia concezione di Amici comprende una cerchia ridotta all’osso di persone, con cui comunico tranquillamente via chat o videochiamare; non amo toccare o abbracciare le persone, per cui zero contatto fisico dal mio punto di vista è un premio.

Pratico yoga all’alba nel silenzio totale e attività fisica al chiuso: andare in una palestra tradizionale con saluti e convenzioni sociali da rispettare per me è uno strazio.

Amo alla follia pianificare la mia vita indoor.

In casa ho tutto quello che nutre la parte non nevrotica del mio spirito: libri, film, serie TV, Internet, Musica, Yoga, i miei affetti. E sono consapevole di essere molto più brava a stare in casa e inventarmi un mondo, molto più che a socializzare.

Mi vanto di essere social ed asociale.

In questa quarantena, ho scritto almeno un articolo ogni due giorni, rispettato il mio calendario editoriale, lavorato con ritmi e in una dimensione differente, letto a più non posso, guardato film fino a notte fonda, fatto consulenza on line in tutta calma, inoltrato pratiche burocratiche senza correre da un ufficio all’altro, mi sono immersa nel mondo dei miei figli senza salvagente. Fatto sport secondo i miei orari e preferenze. Ho avuto il tempo di riordinare dopo il trasloco senza fretta e fatica. Abbiamo partecipato ad un casting.

Sono stata anche con le mani in mano.

Svegliarmi la mattina sapendo di passare la giornata in casa con le mie persone preferite mi conforta e mi fa stare tranquilla.

Adesso il ritorno alla normalità mi attrae e mi respinge: ho paura di essermi assuefatta 🆘 a questa condizione e che mi piaccia più della vita fuori.

Come scriveva Emily Dickinson, reclusa volontaria nella Homestead, la casa paterna:

C’è una solitudine dello spazio,
una del mare e una della morte, ma queste
compagnia saranno
in confronto
a quel più profondo punto,
quell’isolamento polare di un’anima
Ammessa alla presenza di se stessa.

All You need is Inside.

Il beneficio del dubbio ovvero la verità sulla scuola a distanza

Cuore non vede, occhio non duole ovvero occhio che duole, cuore che vede. Insomma come in fatto di corna e tradimenti, così per la scuola è meglio mantenere il velo di Maya della inconsapevolezza, ovvero la divisione dei ruoli, grazie a cui ognuno Divide et Impera negli spazi che gli appartengono.

Con la scuola a distanza, a distanza dagli insegnanti perché io ce l’ho in stanza invece, la parete divisoria tra scuola e casa si è dissolta, i ruoli si sono mescolati con innescarsi di crisi di identità ad effetto domino: adesso è la maestra che chiude la lezione on line e se ne torna alla sua pace, mentre per te iniziano le responsabilità di far entrare nella testa del l’alunno, sangue del tuo sangue, che i compiti si fanno anche se a scuola non ci va, che la punta delle matite non si autogenera per magia, toccherà a te regolare i suoi ritmi intestinali a Storia, in un continuum dove tutti hanno bisogno di te ma tu hai bisogno dei bidelli.. ops scusate personale ausiliario.

Io a scuola ci sono già stata e non ci voglio tornare! Voglio i bidelli che mi placcano all’entrata tipo giocatori di rugby e mi trattano come una potenziale ladra di bambini.

Voglio salutare gli infanti e andare al lavoro in ufficio, con la musica a palla nel tragitto.

Adesso con la scuola in stanza sappiamo tutti e non va bene.

Il re è nudo.

Io passo il tempo delle videolezioni dei miei figli con le cuffie per non essere costretta a tapparmi le orecchie e fare lalalala e per evitare battute in live e finire in presidenza. Non mi è mai successo alle superiori.. mi succederà a casa mia?

Voglio non sapere, la divisione degli ambiti, come tra Stato e Chiesa, voglio ignorare o semplicemente supporre ma non avere la certezza.

Scelgo di illudermi, scelgo il prosciutto sugli occhi e nelle orecchie. Scelgo la pillola rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie, quella che ti faceva credere di non essere un cesto di lumache per le corna visibili anche col satellite.

Se a settembre non vi riprendete il paccchetti completo di insegnanti e classe di ungulati primitivi, la scuola a distanza i miei figli la faranno dalla roulotte, dove andremo a vivere dopo aver comprato un milione di euro di cartucce per stampante.

Io non mi voglio occupare delle mille mila schede da stampare e inviti con password indecifrabili che piovono come le rane in Magnolia.

Io rido per non piangere ed ho cambiato le mie preferenze riguardo compagni di scuola dei miei ungulati analfabeti che chiamo figli: Priscilda, come non amarla? Ogni volta che c’è una verifica lei non ha connessione o i suoi lavorano e lei non ha devices per connettersi o deve portare fuori il cane che sennò il karma si scombina. Anzi, finito tutto devo ricordarmi di fare aperitivo con i genitori di Priscilda: bravi, state facendo un buon lavoro! I miei si fanno venire un attacco di cuore solo se arrivano un minuto in ritardo alla lezione nel magico mondo di Mork e Mindy, Priscilda se ne fotte e si connette quando le va e quando non c’è pericolo di mettersi alla prova.

La scuola in stanza da separati implica che rido tantissimo quando è il weekend che non tocca a me far fare loro i compiti e il venerdì di Prove del Cuoco, ovvero di verifiche per vedere se la scuola ad cazzum funziona.

E rido in barba al rigido Trattato di Famiglia: quello che succede a Las Vegas resta a Las Vegas. In sintesi: cazzi e buoi dei paesi tuoi.

Quando avrò capito tutti gli anfratti del registro elettronico, sarò in grado di fare la Social Media Manager di Belen. Ed è proprio sul registro che noto un fatto ambiguo: compiti di esperanto consegnati. Ecco i miei ungulati analfabeti disfunzionali non hanno mai fatto esperanto 😒 O almeno credo. E quindi chiedo a loro. E loro, gli infanti del Regno di Hunger Games: Mamma, ma ci firmasti l’autorizzazione all’esperanto in ottobre mentre dormivi sul divano guardando Grey’s Anatomy. Ecco, io voglio tornare lì, a dormire sul divano mentre loro sono stanchi delle loro otto ore di scuola a distanza da me, a norma della organizzazione punkabbestia della nostra famiglia allagata. Voglio i Servizi Sociali alla porta e che si occupino loro di questa scuola in stanza.

E questo la dice lunga sulla nostra organizzazione punkabbestia e sull’inefficienza dei servizi sociali che non hanno ancora bussato alla nostra porta. A me lasciatemi con i bidelli che adesso applaudiró quando fanno sciopero al venerdì o l’otto gennaio.

Lotta dura alla rottura!

In questo dibattito sulla scuola a distanza, io sto con loro, i dipendenti Ata, perché sono sicura che loro sanno quello che sto passando tra pulizie straordinarie, richieste bizzarre e malanni improvvisi di chi a scuola ci insegna e di chi a scuola impara.

In conclusione, impariamo tutti a non rompere per la Festa della Mamma e io almeno, lo apprezzerò tantissimo. Molto più del solito lavoretto ad minchiam che finisce nel cassonetto appena girate gli occhi.

Grazie.

Nessun ungulato e nessun insegnante è stato maltrattato nel corso di questo episodio.


La verità, ve lo dico, sull’Amore

Vengo dalla città dove San Valentino è nato e non lo festeggio.

Da single o in coppia, questa festa non mi ha mai entusiasmato, mentre invece a Terni, in Umbria, dove sono nata è molto sentita. Sarà che quando si deve festeggiare perché è socialmente imposto mi viene di andare controcorrente.

San Valentino, un giorno per festeggiare

l’Amore ♥️.

Love is All you need.

Un giorno dedicato al sentimento più discusso, cantato e controverso. Ma un giorno così dovrebbe comprendere gli Alti ed i Bassi dell’Amore, i giorni leggere e quelli dolorosi.

Alti e Bassi, che chissà come mai i Bassi restano sempre più impressi, anche se sembra siano solo un terzo dei momenti felici.

Più che fiori, dolciumi e pupazzetti, quest’anno ho capitalizzato le cose positive che abbiamo fatto succedere e le scrivo su un foglio colorato, da appendere in un punto ben visibile ogni giorno dell’anno.

Il mio regalo sarà questo.

Perchè come la frase di #intothewild che abbiamo visto, rivisto ed ascoltato un milione di volte:

La felicità è reale solo se condivisa.

Happyness is real only when shared.

Love is…
divertirsi

Questa frase mi ha tormentato per anni con il suo significato. Solo da poco ne ho afferrato il senso autentico: l’Amore felice che si apre agli altri, ad altre scoperte, a nuove emozioni.

Love is … Baciarsi.

Adesso che ho capito, spero che le persone importanti della mia vita si sentano sempre libere di condividere con me il loro essere più autentico, perché non si giudica chi si ama.

Quindi, archiviato San Valentino:

Condividete, gente, Condividete.

Come creare un ricordo per la vita: l’agenda di nascita.

Per entrambi i primi due figli ho scritto un diario durante tutta la gravidanza, concepito come una lettera lunga nove mesi ed indirizzata a loro.

Lì dentro ho riversato tutto: i cambiamenti fisici, quelli interiori, i pensieri e i tentennamenti sulla scelta di quello che poi sarebbe diventato il loro nome. TUTTO.

I diari della gravidanza sono belli ma, per me, anche un semplice quaderno è adatto allo scopo.

Un libro per il viaggio immanente più potente di tutti.

Con la baby n. 3, non ho sentito questa esigenza e io sono abituata a seguire il mio sesto senso. Sarà che il cellulare ha soppiantato la paura di dimenticare questo periodo, sarà che comunque i miei pensieri li metto in questo blog. Dei nove mesi di baby n. 3 ho altre testimonianze che dei primi due non avrò mai: video, foto, messaggi. Tuttavia, in ogni caso, mi riprometto di scrivere anche a lei una lettera da conservare nella sua scatola dei ricordi.

Di questi quaderni dei ricordi quello che preferisco è quando arrivano nelle mani dei piccoli destinatari.

I tre piccoli destinatari ad Halloween.

Con la figlia metà adolescente e metà unicorno ho fatto così: l’ho conservata per dodici anni nella sua scatola dei ricordi e, per il suo dodicesimo compleanno, gliela ho regalata, perché capisse con quanto amore ♥️ l’ho aspettata e desiderata.

Adesso che siamo temporaneamente ospiti in una casa non nostra per importanti lavori nella nostra vera casa, con sorpresa, riordinando, ho trovato la sua Agenda di Nascita tra le poche ed essenziali cose che ha potuto portare con sé qui.

Che sorpresa! Che questa adolescente con la risposta acida sempre in tasca abbia portato con sé la testimonianza di quando pesava come tre pacchi di zucchero e la sua stessa sopravvivenza dipendeva da altri.

Perché quando si sa da dove si viene, sai anche dove tornare ♥️.

Scrivere aiuta a fissare i ricordi, a trasmettere i propri pensieri più leggeri e a lasciare un qualcosa di sè ai bambini, testimonianza di un tempo in cui loro erano speranza pura.

Adolescenti con la divisa

Mi ricordo ancora quando mia madre ignorava e non capiva quando le facevo una richiesta in fatto di vestiti: ogni volta che le chiedevo di comprarmi quelle “scarpe ortopediche”, come le chiamava lei, quel giubbotto senza forma, invece del cappotto blu classico e tutti i pantaloni in stock, tutti uguali, neanche avessi bisogno di una divisa. Eppure, in un certo senso ero arruolata alla adolescenza, quella di mode e modelli.

Questo è uno dei pochi aspetti che con l’invasione tecnologica è rimasto invariato.

Si sono modificati i punti di riferimento, ormai la moda è lanciata da fashion blogger, youtuber e si sfogliano i social network, ma l’omologazione tipica adolescenziale esiste oggi più che mai.

Riveste un’importanza cruciale per loro, significa da un lato ricerca di una propria dimensione anche di gruppo, un modo di essere al mondo, che al momento significa per loro essere come gli altri e quindi esistere.

Dall’altra aiuta a minimizzare le profonde insicurezze tipiche di questa fase di transizione. Vestirsi come gli altri non significa non avere personalità, che è ancora in costruzione , i tratti si stanno stabilizzando, significa “far parte di”, rifugiarsi dietro modelli socialmente accettati che favoriscono l’integrazione.

La figlia unicorno di mestiere fa Bastian Contrario.

Andare contro corrente a quell’età significa o essere leader o essere “sfigati”, “nerd”, non alla moda.

Gli altri, quelli giusti, quelli del gruppone, si esprimono in base a quei modelli che tanto sono amati dai ragazzi e non compresi dai genitori.

Quando mi sento dire le frasi che tanto detestavo in bocca agli adulti: “Come fa a vedere con i capelli in faccia?”, “Non gli danno fastidio?” “Ma quelle scarpe non sono scomode?”, “Vai in giro nuda!”, mi fermo e penso: ALT ⛔️ è inverto la rotta.. e dico alla mia adolescente metà unicorno: Vuoi anche tu quelle scarpe? Le hanno tutti. Vuoi colorare i capelli anche tu? E puntualmente ottengo la reazione inversa: Io non sono come tutti! Sì perché fuori di casa hanno bisogno di appartenere al gregge ma con noi vogliono sentirsi UNICI.


Sarà per questo giochino di ruoli che faccio, dove sono io a proporle di adeguarsi alla massa che per ora, ma prima o poi succcederà lo so, abbiamo evitato quei rapporti di amicizia simbiotica che tanto spaventano i genitori, per la serie: “Vivono insieme, quello che fa una fa l’altra”.

Alla fine l’abbigliamento è un modo di esprimersi e di essere ed è anche giusto che passino delle fasi in cui si vogliano sentire come altri e altre un cui cercano se stessi. Man mano poi ci si stacca o almeno ci si dovrebbe allontanare dai modelli di omologazione sociale e trovare una propria dimensione individuale. Se l’avessero già in adolescenza non sarebbero adolescenti.

Quindi se alle medie, tre anni fa, erano d’obbligo i leggings neri (comprati in stock di venti da H&M) e le Nike o Adidas, adesso ci sono le scarpe Van’s di ordinanza con i jeans ed il maglione dentro ❌.

Felpa, o nera o bianca, jeans e Van’s.

Io guardo, pago e sto zitta ma sotto sotto non vedo l’ora che il bruco si trasformi in farfalla, questa volta di un colore tutto suo 🐛🦋.


Personal Credo

Io credo nelle favole.

Credo in Cenerentola, unica e sola gran culo di Cenerentola, generatrice di aspettative eccessive ed innumerevoli seghe mentali su città, cose, persone ed animali, visibili e soprattutto invisibili.

Quella gran culo di Cenerentola. Cit.




Credo in Cappuccetto Rosso, audace nipotina che gira per i boschi.

Credo nella bontà e nel non maschilismo dei 7 nani, che la prima donna che entra loro in casa la mettono prontamente a fargli da cameriera.

Credo che la Bella Addormentata sia in realtà molto più sveglia di me.

Credo che Peter Pan resterà sempre un Peter Pan. Una Matrigna invece no, non è sempre cattiva.

Biancaneve in Vogue

Credo nelle favole che raccontano di cose belle e di mostri, che spesso sono dentro le cose belle, e credo che mi piace guardare il mondo con gli occhiali delle favole.

Credo che il lieto fine non avrà mai una fine e che non sempre sia e vissero felici e contenti, un happy end può essere anche abbiamo vissuto dei bei momenti che sono finiti perché dovevano finire e voi due sapete quanto ne è valsa la pena.

Credo nell’amore che vince sul buio, credo che a volte il lupo cattivo vince, credo nel genio della lampada e nella fata turchina che vivono in ognuno di noi; credo nel lato oscuro che mentre lo guardi diventa sempre più attraente.

La vita è una favola.

Credo nelle favole.

Credo nelle favole e in chi me le racconta, che sono io.

Credo in me ed è una favola.

Che rumore fa la felicità?

Cosa ci rende veramente felici?

Troppe volte sono gli stati d’animo negativi ad occupare più tempo ed energie del dovuto, eppure la sensazione di essere felici dovrebbe guidare pensieri, parole, opere ed ammissioni (di esserlo).

Come ho detto e scritto più volte, immergermi e circondarmi di bello, belle cose, bella gente, bei pensieri, mi riappacifica con il mondo ed è questa la mia Chic Therapy.

Poi viene la felicità che discende dalla consapevolezza di essere forte, sopravvissuta a varie difficoltà e vicissitudini di solitudine e sofferenza.

Una rara, per me, che sono social ma asociale, forma di felicità è la compagnia leggera e frivola che fa scorrere veloce il tempo di alcuni conoscenti. Notare bene: conoscenti, non amici, di cui ho una concezione molto personale ed elitaria.

La felicità per un lavoro fatto bene, da distinguere dall’aver fatto il proprio dovere che mi provoca poca soddisfazione. È qualcosa che va oltre il compitino: sapere di aver fatto bene qualcosa, vederlo vivere e funzionare e sapere di fare bene quella cosa lì. Questo mi rende felice.

Quando le giornate scorrono bene e riesco a spuntare le mie liste di cose da fare, con garbo e calma di vivere.

Poi c’è l’intuizione creativa. A volte succede questa magia: a partire da stimoli casuali: un frammento di discorso, una sensazione, un colore inizia a prendere forma una storia o il disegno di un vestito, che per me nasce già fatto e finito. Quando succede, è felicità.

Felicità di aver compreso un concetto. Il momento della cattura cognitiva.

Una delle mie preferite è la felicità di Cesare, quando il dado è tratto, la mia responsabilità è finita e posso abbandonarmi al flusso degli eventi.

L’ultima felicità sono le Mie Persone.

Mille di questi anni!

Da neomamma Ter quarantenne+, ci penso autonomamente a sentirmi vecchia ma, semmai avessi un attimo di distrazione, amici, parenti e conoscenti si incaricano di ricordarmelo 😃.

Sarà per questo motivo che mi ha particolarmente colpito l’etichetta di donne millennials di un gruppo di donne boss di #hollywood, delle donne talmente curate, forti e potenti che non ha senso applicare loro il concetto di età. Ebbene mi è suonato un concetto così rivoluzionario che delle donne che lavorano anche con il proprio aspetto siano libere di sentirsi “eterne”, millennials appunto, che è stata una scoperta che mi ha migliorato la giornata.

Da sempre una donna deve fare i conti con il tempo:

che sia quello del primo ciclo, quello mensile, la tinta da fare ogni determinate settimane, l’orologio biologico, l’appuntamento cadenzato al centro estetico, la menopausa,

fin da subito il tempo è a volte alleato più spesso avversario. Ebbene alcune tra noi lo hanno sconfitto.

E chi sono queste eroine millennials?

#juliaroberts, #reesewhiterspoon, #gwinethpaltrow, #jenniferaniston, #nicolekidman, in prima fila, seguite da molte altre, basti ricordare le super modelle anni ’90 apparse a celebrare @versace in passerella che hanno fatto la loro porc@ figura in mezzo alle ventenni.

Lasciarmi ispirare da cotanti modelli di forza, bellezza e femminilità, è stato entusiasmante. Perché anche io, nel mio piccolo, cerco di sdoganare pregiudizi e luoghi comuni e non mi sento certo di meno di altr* solo in relazione all’età.